Giovanni Giolitti, figura dominante della politica italiana per circa un quindicennio (età giolittiana), si trovò ad affrontare un ampio ventaglio di oppositori provenienti da diversi schieramenti ideologici e sociali.
Sindacalisti rivoluzionari e socialisti massimalisti: Questi gruppi, di cui figure come Arturo Labriola e Benito Mussolini furono esponenti, criticavano Giolitti per il suo riformismo considerato insufficiente e per la sua politica di compromesso con le classi dominanti. Essi ambivano a una rivoluzione proletaria e vedevano in Giolitti un ostacolo a questo fine.
Nazionalisti: Corrente ideologica in forte ascesa durante l'età giolittiana, il nazionalismo italiano, con esponenti come Enrico Corradini, contestava Giolitti per la sua politica estera ritenuta troppo prudente e poco ambiziosa. Inoltre, criticavano la sua politica interna, giudicandola troppo permissiva verso i movimenti socialisti e poco attenta alla grandezza e al prestigio della nazione. Puntavano a un'espansione coloniale aggressiva e a una politica di potenza.
Cattolici intransigenti: Sebbene Giolitti cercò un avvicinamento con il mondo cattolico (Patto Gentiloni), una parte di esso, in particolare i cattolici intransigenti fedeli al Non expedit, lo vedevano con sospetto. Essi diffidavano della sua politica laica e del suo approccio pragmatico alle questioni religiose.
Liberali conservatori: Anche all'interno dello schieramento liberale, Giolitti trovò oppositori. Figure come Sidney Sonnino criticavano la sua tendenza al trasformismo, ovvero alla ricerca di compromessi con forze politiche diverse, e la sua politica economica ritenuta troppo favorevole alle classi lavoratrici. Temevano un indebolimento dell'autorità dello Stato e una perdita di controllo da parte dell'élite liberale.
Meridionalisti: Alcuni intellettuali e politici del Sud, come Gaetano Salvemini, pur riconoscendo alcuni aspetti positivi della sua politica, criticavano Giolitti per non aver risolto il problema del divario tra Nord e Sud Italia e per aver utilizzato metodi clientelari e corrotti nel Mezzogiorno (accusandolo di essere il "ministro della malavita").
In sintesi, l'opposizione a Giolitti era variegata e motivata da ragioni diverse, che spaziavano da critiche di natura ideologica a considerazioni di ordine sociale ed economico. Questa frammentazione dell'opposizione contribuì, paradossalmente, alla sua longevità politica, permettendogli di manovrare tra i diversi schieramenti e di mantenere il potere.